ANNO 14 n° 119
Giovedì Web
Alrawi, l’app
Android dell’Isis
di Samuele Coco
21/01/2016 - 02:00

di Samuele Coco

VITERBO - La rete, gli smartphone e le app hanno raggiunto praticamente tutti. Forse la diffusione di internet non è ancora ai livelli delle linee telefoniche, ma ovunque nel mondo c’è domanda di smartphone in grado di usare applicazioni per comunicare. Dalla famigerata ''Primavera Araba'' fino alle manifestazioni a Istanbul di Piazza Taksim, i nuovi mezzi di comunicazione hanno avuto un ruolo determinante nel permettere a tutti di ricevere le informazioni e coordinarsi. Persino il sedicente stato islamico dell’Isis, peraltro già noto per il suo maestoso uso della propaganda online, sembra abbia appositamente realizzato una applicazione per comunicare in maniera sicura.

Alrawi, sviluppata esclusivamente per Android, deve probabilmente il suo nome ad una ''celebrità'' vicina al califfato che si è particolarmente distinta nelle zone coinvolte dal conflitto per l’affermazione dell’Isis. L’idea di creare di una specifica applicazione nasce dalla necessità di evitare possibili intercettazioni, visto che fino ad oggi i combattenti dello stato islamico hanno usato, come tutti,i principali servizi di messaggistica come Facebook, WhatsApp o Telegram.

Queste app usano tecnologie che permettono di crittografare un messaggio, ma sono comunque vulnerabili al controllo delle aziende creatrici e, si vocifera, anche del governo americano.

Chiaramente, utilizzare mezzi propri rende il servizio molto più sicuro, ma non è ancora chiaro se persino questa applicazione possa essere una sorta di trappola pensata dagli uomini del califfato per depistare le indagini dei vari agenti di polizia di tutto il mondo che quotidianamente sono impegnati a combattere il terrorismo. Infatti, le comunicazioni, i nomi, le date e tutte le informazioni potrebbero essere create ad arte allo scopo di portare altrove l’attenzione dei servizi investigativi.

Essendo però incerta la provenienza di questa applicazione, è persino possibile che Alrawi sia stata invece progettata dai servizi di intelligence mondiali per poter tenere d’occhio i terroristi o tutti coloro che aspirano a far parte dell’Isis.

È chiaramente impossibile dire quale sia la corretta ipotesi, ma è chiaro che app come questa fanno suonare un certo campanello d’allarme. Avere conversazioni che restino private tra il mittente e il destinatario del messaggio deve rimanere un diritto inviolabile, anche in questi tempi dove la necessità del controllo supera quella della sicurezza, ma fino a che punto possiamo permetterci la libertà di far passare ogni tipo di messaggio in rete?





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